martedì 31 maggio 2011

Vuoi essere mamma? Licenziati

Ci sono notizie che forse ai più sembrano non particolarmente interessanti ma che portano a galla lo stato di salute di una società e le risorse che un paese investe nel suo presente e nel suo futuro.

Una di queste è quella divulgata dall’Istat nei giorni scorsi e che evidenzia un quadro dove spiccano l’arretratezza e la mancanza di riforme del nostro paese. Secondo l’istituto di statistica, infatti, quasi un milione di donne è stata licenziata o costretta a farlo solo per aver deciso di avere un figlio. Un dato che colpisce come uno schiaffo e fa ben capire cosa voglia dire essere madri in Italia nel terzo millennio.

Una donna su cinque fra quelle che lavorano ha lasciato il lavoro in seguito alla nascita di un figlio, o al matrimonio. Sia ben chiaro che stiamo parlando di madri e lavoratrici che non hanno scelto di smettere di lavorare ma che sono state costrette, spesso con modi a dir poco vergognosi, come le famigerate dimissioni in bianco fatte compilare al momento dell’assunzione.

Una pratica sconosciuta e al limite della legalità negli altri paesi europei e considerata quasi un diritto irrinunciabile di quei datori di lavoro che non vogliono capire che più figli vuol dire più consumatori, contribuenti ed energia vitale a un sistema previdenziale ormai al collasso. Lo sa bene la Francia che già da anni sta portando avanti con successo un piano d’incentivi delle nascite che riuscirà ad arginare, grazie ai lavoratori di domani, il costo sempre più elevato delle pensioni.

Pensiero che in Italia, sempre più un paese per vecchi, è distante anni luce, senza contare l’umiliante sistema con cui è costretta a far fronte la donna che quasi mai riesce a riconquistare il lavoro perso: "Solo quattro madri su dieci tra quelle costrette a lasciare il lavoro – commentano dall’istituto di statistica - ha poi ripreso l'attività”.

Eppure, secondo l’analisi sono proprio le donne a reggere il carico maggiore nella rete d'aiuto familiare fondamentale per l'economia e la società. L’occupazione femminile rimane stabile nel 2010, ma peggiora la qualità del lavoro e rimane la disparità salariale rispetto agli uomini, il 20% in meno. L’occupazione qualificata è scesa di 170 mila unità mentre aumenta quella non qualificata.

In salita anche il numero delle sovraistruite, ovvero di quelle lavoratrici che svolgono mansioni per le quali è necessario un livello d’istruzione più basso. Confronto al resto dell’Europa l’Italia rimane il fanalino di coda: se nel continente le madri di bimbi piccoli occupate sono il 68%, in Italia si scende al 55% mentre il tasso d’inattività s’impenna nel Sud d’Italia con oltre il 63%.

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