martedì 22 luglio 2008

Nome in codice Marina Vega

Agente segreto 007. L’uomo che non deve chiedere mai. Il bello e impossibile della storia del cinema, diventato un modello ineguagliabile per ogni ragazzo della porta accanto. Un lavoro al maschile quello della spia, che Bond ha contribuito a rimarcare come tale creandone addirittura un mito irraggiungibile, soprattutto per una donna. E quando dico irraggiungibile lo dico in tutti i sensi visto che nei 12 romanzi scritti da Fleming le donzelle che si susseguono tra le braccia del dannato agente sono niente meno che 14, numero che si quadruplica sul grande schermo in cui tra un colpo di pistola e una missione impossibile, il bello dei servizi segreti sarà alle prese con ben 58 donzelle tra le più affascinanti del genere femminle – dati del “Times Literary Supplement” Hugo Williams. Ma la vita non è un film, e la realtà a volte supera la fiction. E lo fa in questo caso presentandoci una spia in carne ed ossa, anche se questa volta, permettetemi di dirlo, si tratta di una spia in gonnella, non per questo meno esperta o più sprovveduta del nostro caro e vecchio James. E già, perché se al cinema abbiamo ammirato donne fredde e spietate della taglia di Nikita o “rette” e leali come Ninotchka, la vita vera è ancora più sorprendente. Si tratta di Marina Vega, nata in Cantabria, nel nord della Spagna, il 1923. Lottare contro il regime franchista (dopo una guerra civile durata dal 1936 al 1939 la Spagna rimase sotto un governo dittatoriale fino al 1975; il Generale Francisco Franco, militare che capeggiò il colpo di stato, vinse la guerra e divenne capo dello stato; il suo Regime Franchista durò esattamente 39 anni) è stata la sua missione dall’età di 17 anni quando, poco più di una bambina, ma con le idee chiare, riuscì a sopravvivere, prestò servizio in nome della democrazia e aiutò decine di ebrei francesi a sfuggire i nazzisti; trasformò la sua vita in una missione senza limiti. Del suo racconto, pubblicato anche sul Pais - domenica 29 giugno - colpiscono soprattutto alcuni aneddoti, forse pane quotidiano per uno 007, ma più duri da digerire se pensiamo che a viverli è stata una giovanissima: ad oggi i ricordi sono ancora vivi in lei tanto che illustra dettagliatamente il modo in cui gli agenti segreti, scovati dal nemico, si toglievano la vita per non cedere alle torture. Marina, personalmente, aveva sempre con se una pastiglia di cianuro, ma alcuni, meno previdenti, usarono metodi estremi per evitare di tradire la causa. Uno di loro, trovato morto suicida, si uccise dando testate contro il muro della sua cella mentre la Vega sottolinea: “deve essere stato orribile perché la cella era molto piccola. Non poteva prendere la rincorsa”. Il passato di questa donna fuori dal comune fu senza dubbio straordinario e la sua missione degna di attenzione. I ricordi che si porta dietro sono tanti, ma anche gli strascichi di queste esperienze non sono da meno; ancora oggi, nonostante siano passati tanti anni, non si siede mai di spalle a una porta e se deve dormire in albergo la sua stanza deve essere al primo piano, vicina all'uscita, in caso di emergenza. Che dire: da adesso quando si parlerà di spie oltre a Bond non potremmo non pensare anche al grande fascino di Marina.

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