
Come le donne che le hanno vissute, le storie custodite da Silvia sono vicende accumunate dalla fatica e della povertà ma ricche di sfumature, emozioni ed anche evoluzioni completamente diverse tra loro: in mezzo alla durezza del lavoro e dalla lontananza dalla loro casa per alcune di queste donne la vita da Sciasceline ha portato l'amore. In tante, infatti, hanno conosciuto il futuro marito tra le fronde degli olivi imperiese. Ma questa è un'altra storia.
A soli 27 anni Silvia, laureata in Conservazione dei Beni Culturali all’Università degli studi di Genova, ed ora impiegata nel Museo civico di Diano Marina, ha affrontato la sua prima sfida letteraria. Una ragazza solare e curiosa la Genta, consapevole del valore della sua opera, ma anche con molta voglia di crescere e migliorarsi, continuando a misurarsi con la sua terra, alla quale ha solo iniziato ad offrire grande passione con questo regalo tutto al femminile.
L’analisi portata avanti nel testo, mai affrontata prima d’ora, focalizza l’attenzione sulla vita dei campi. Sulle giovani donne che, ogni giorno e ogni anno, trovavano, nella raccolta delle olive, la strada verso una sussistenza più degna di quella possibile nei loro paesini montani d’origine. Donne che scandivano la loro esistenza al ritmo della terra. Una terraccia dura, agria, tutta in verticale, che ancora oggi va rubata ai colli, cornice di un paesaggio che tra quelli marini è il più montano in assoluto. Silvia, non a caso, cita la Malora di Fenoglio, inno alla fatica e alla lotta del bracciante in Liguria. Nella scena della polenta, insaporita passando una lisca di pesce che ormai non ha più carne attaccata, è messa in risalto la vitaccia grama del contadino: non è necessario aggiungere altro al riguardo. L’immagine parla da sola. Il testo della Genta, pubblicato con il patrocinio della Regione Liguria ed il contributo della CIGL, è senza dubbio un nuovo tassello della storia della nostra regione, ma anche del Paese intero. Inizia a diffondersi la conoscienza di un fenomeno profondamente legato all’economia della regione, ed allo sviluppo della Liguria a livello nazionale, troppo importante per essere dimenticato. È uno sguardo ad un settore del lavoro femminile, che è stato motore della produzione dell’olio d’oliva, e soprattutto, rivalutazione del ruolo di contadina: quella figura, addetta a fare mille lavori, da quelli di casa a quelli legati alla terra, ma cancellata perché, a causa delle tante mansioni, non era rappresentativa di una professione, al contrario dell’uomo che generalmente, contadino senza altre mansioni ulteriori, impersonava un ruolo ben preciso e definito, perpetuato nella memoria collettiva.
La spina dorsale del testo è il racconto in prima persona di alcune delle protagoniste del fenomeno migratorio stagionale che colpiva l’Italia, e in questo caso, appunto, una delle regioni più dure e difficili: la Liguria, “Scarsa lingua di terra che orla il mare” in cui centinaia di donne giungevano per la raccolta delle olive, cominciando dalla stagione autunnale per finire in primavera, anche se il periodo preciso dipendeva da molti fattori e quindi non era escluso che variasse da una esperienza all’altra. Enrica, Teresa, Diana, Irma, Giovanna, Narra e Carla, raccontano le loro esperienze, vissute dagli anni ’30 al dopoguerra. Le protagoniste di tale ricerca raccontano alla giovane scrittrice una pratica, quella della produzione olivicola, che ha origine, come specifica la stessa autrice, nel lontano 1700 con il “periodo d’oro” delle olive del ponentino, per poi arrivare al vero boom del XIX secolo in cui si espande la commercializzazione verso mercati internazionali: Inghilterra, Olanda, Danimarca e Pietroburgo. Queste donne si raccontano alla penna di Silvia che riesce a fare un po’ di chiarezza, non solo sul fenomeno migratorio locale, ma anche sulla ridefinizione della donna contadina e sul legame tra la l’economia regionale e le giovani sciaceline che erano un tassello fondamentale in questo ingranaggio produttivo. Silvia è stata la prima a trascrivere questa storia diffusa oralmente e nascosta negli archivi che hanno confermato tutti i racconti popolari. Durante il nostro incontro, la Genta sottolinea la difficoltà riscontrata nel riuscire a mettere insieme materiale interessante capace di dare al libro una personalità semplice e rendendolo non solamente un testo utile agli “addetti ai lavori”, ma scorrevole a tutti e quindi non solo uno scritto scientifico, ma anche d’intrettenimento. Il risualto parla da solo.
L’analisi portata avanti nel testo, mai affrontata prima d’ora, focalizza l’attenzione sulla vita dei campi. Sulle giovani donne che, ogni giorno e ogni anno, trovavano, nella raccolta delle olive, la strada verso una sussistenza più degna di quella possibile nei loro paesini montani d’origine. Donne che scandivano la loro esistenza al ritmo della terra. Una terraccia dura, agria, tutta in verticale, che ancora oggi va rubata ai colli, cornice di un paesaggio che tra quelli marini è il più montano in assoluto. Silvia, non a caso, cita la Malora di Fenoglio, inno alla fatica e alla lotta del bracciante in Liguria. Nella scena della polenta, insaporita passando una lisca di pesce che ormai non ha più carne attaccata, è messa in risalto la vitaccia grama del contadino: non è necessario aggiungere altro al riguardo. L’immagine parla da sola. Il testo della Genta, pubblicato con il patrocinio della Regione Liguria ed il contributo della CIGL, è senza dubbio un nuovo tassello della storia della nostra regione, ma anche del Paese intero. Inizia a diffondersi la conoscienza di un fenomeno profondamente legato all’economia della regione, ed allo sviluppo della Liguria a livello nazionale, troppo importante per essere dimenticato. È uno sguardo ad un settore del lavoro femminile, che è stato motore della produzione dell’olio d’oliva, e soprattutto, rivalutazione del ruolo di contadina: quella figura, addetta a fare mille lavori, da quelli di casa a quelli legati alla terra, ma cancellata perché, a causa delle tante mansioni, non era rappresentativa di una professione, al contrario dell’uomo che generalmente, contadino senza altre mansioni ulteriori, impersonava un ruolo ben preciso e definito, perpetuato nella memoria collettiva.

La spina dorsale del testo è il racconto in prima persona di alcune delle protagoniste del fenomeno migratorio stagionale che colpiva l’Italia, e in questo caso, appunto, una delle regioni più dure e difficili: la Liguria, “Scarsa lingua di terra che orla il mare” in cui centinaia di donne giungevano per la raccolta delle olive, cominciando dalla stagione autunnale per finire in primavera, anche se il periodo preciso dipendeva da molti fattori e quindi non era escluso che variasse da una esperienza all’altra. Enrica, Teresa, Diana, Irma, Giovanna, Narra e Carla, raccontano le loro esperienze, vissute dagli anni ’30 al dopoguerra. Le protagoniste di tale ricerca raccontano alla giovane scrittrice una pratica, quella della produzione olivicola, che ha origine, come specifica la stessa autrice, nel lontano 1700 con il “periodo d’oro” delle olive del ponentino, per poi arrivare al vero boom del XIX secolo in cui si espande la commercializzazione verso mercati internazionali: Inghilterra, Olanda, Danimarca e Pietroburgo. Queste donne si raccontano alla penna di Silvia che riesce a fare un po’ di chiarezza, non solo sul fenomeno migratorio locale, ma anche sulla ridefinizione della donna contadina e sul legame tra la l’economia regionale e le giovani sciaceline che erano un tassello fondamentale in questo ingranaggio produttivo. Silvia è stata la prima a trascrivere questa storia diffusa oralmente e nascosta negli archivi che hanno confermato tutti i racconti popolari. Durante il nostro incontro, la Genta sottolinea la difficoltà riscontrata nel riuscire a mettere insieme materiale interessante capace di dare al libro una personalità semplice e rendendolo non solamente un testo utile agli “addetti ai lavori”, ma scorrevole a tutti e quindi non solo uno scritto scientifico, ma anche d’intrettenimento. Il risualto parla da solo.
La Rampante/Sarina
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