giovedì 28 febbraio 2008

La contessa Serpieri, icona della vendetta femminile


Ha amato, amato fino ad annullarsi, dimenticare il marito, chi era e perfino la patria, ma quando ha capito che il suo amante le aveva dilaniato il cuore e l' anima e portato via soldi e dignità non ha avuto dubbi e si è vendicata sottraendo all'oggetto del suo amore quanto di più prezioso: la vita. Rappresenta da oltre 50 anni il simbolo del riscatto femminile e dell'orgoglio ferito la contessa Livia Serpieri, la protagonista di “Senso”, memorabile film tratto da una novella di Arrigo Boito e magistralmente diretto da Luchino Visconti. Nel bene o nel male la contessa è un icona in cui tante donne si riconoscono: ama e per amore non ha paura a rinnegare la sua vita, la famiglia e gli ideali, ma quando si accorge di essere stata tradita e presa in giro non esita, con lucido dolore a fare uccidere l'uomo per cui ha distrutto la sua vita. A dare il volto e l'anima alla contessa è Alida Valli, gli occhi più belli del cinema italiano e attrice di grande talento ingiustamente caduta nel dimenticatoio. La vicenda di Livia Serpieri è nota: siamo nella Venezia del risorgimento, la nobildonna è sposata con un uomo potente e cugina di un patriota con cui condivide progetti ed ideali. Ad una rappresentazione teatrale conosce Franz Mahler, un soldato austriaco e se ne innamora perdutamente. I due intrecciano un'appassionata relazione. L'uomo non è certo un eroe senza macchia ma l'amore accecante della contessa spiana tutti i difetti e le convenzioni. Per lui mette in ridicolo il marito (una delle più famose scene vede Alida Valli scappare da casa urlando alla domestica che le chiede cosa dire al consorte “Non mi importa digli la verità”) ma soprattutto rinnega gli ideali di libertà per i quali ha vissuto. La storia prosegue, Franz deve partire per una battaglia ma ha paura e teme che questa volta non farà più ritorno. L'uomo implora la contessa di dargli dei soldi in modo da pagare un medico che gli diagnostichi una finta patologia in modo da evitare il fronte. In ballo tira l'amore che prova per lei. Mente, lo spettatore lo sa, siamo di fronte ad un delinquente approfittatore della peggior specie, ma lei diventa sua complice e gli consegna i gioielli che le aveva affidato suo cugino e che sarebbero serviti a finanziare azioni carbonare. Di fronte al pericolo che potrebbe rischiare l'amato non ha dubbi: rinnega la patria come forse avrebbe fatto qualsiasi donna innamorata. E' l'inizio della fine: il “coraggioso” soldato scappa, sperpera i soldi della contessa in alcol e prostitute e fa perdere le sue tracce. Disperata lo cerca ovunque abbandonando il marito e lo ritrova in un appartamento abbracciato ad una donna: “L'ho pagata con i tuoi soldi” le urla in faccia. Lei lo guarda e senza dire una parola si gira e scappa. Il film si chiude con la contessa che stravolta moralmente e fisicamente nella penombra delle calle veneziane denuncia l'uomo che così verrà fucilato per diserzione. E' la somma vendetta, un gesto che accende un moto di vivido orgoglio in tutte le donne e la prima volta che il cinema affronta in questo modo l'amore al femminile solitamente trattato dipingendo la donna come essere che perdona e si sacrifica sempre e comunque. Ed invece no, il passo lento verso la caserma della contessa è la sentenza di una giustizia dei sentimenti di cui solo lei è l'artefice. Non mi ami, non meriti di vivere.

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